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Emilia, Federica e le altre mamme: “Le malattie rare dei nostri figli ci mettono alla prova, ma assieme siamo più forti”

Emilia, Federica e le altre mamme: “Le malattie rare dei nostri figli ci mettono alla prova, ma assieme siamo più forti”

“La Repubblica” parla di noi nella Giornata Internazionale delle Malattie Rare

Nella quindicesima Giornata Internazionale delle Malattie Rare,il 28 febbraio 2022, Veronica Mazza del quotidiano “La Repubblica” ha dedicato un articolo alle mamme di chi ha una malattia rara. Ecco qui l’articolo integrale che potete trovare on line su Repubblica. Due mamme sono le mamme di bambini con MAR e fanno parte della nostra AIMAR.

Nella Giornata delle malattie rare, alcuni genitori ci hanno consegnato le loro storie. Quelle di Emilia, Teresa, Federica e le altre sono testimonianze che dimostrano quanto sia importante fare rete, per affrontare problemi che sembrano insuperabili e percorsi di cura che spaventano. L’aiuto offerto spazia dall’aspetto legale a quello burocratico, passando per il sostegno psicologico, ma il fattore umano e l’empatia giocano un ruolo primario per sentirsi meno soli e meno diversi. Ecco come da situazioni difficili sono nati legami importanti.
 

“Mia figlia Lavinia è nata affetta da mucolipidosi, una malattia rarissima. Ce siamo resi conto solo quando aveva tre mesi”, racconta FEDERICA, mamma di 39 anni di Mestre. “La diagnosi vera e propria è arrivata però più tardi: c’è voluto un anno e mezzo, tra visite ed esami in tutta Italia, per riuscire a individuare l’esatta malattia genetica di cui era affetta. I dottori ci hanno messo subito al corrente che Lavinia non sarebbe mai guarita e che il tempo che aveva a disposizione era limitato. Per tanto hanno solo potuto indirizzarci verso le cure palliative pediatriche, per cercare di far vivere al meglio nostra figlia per più lungo tempo possibile, indicandoci l’hospice pediatrico di Padova, non lontano da casa nostra.
Lì, la famiglia di Lavinia trova una rete che la accoglie grazie alla Onlus “La Miglior Vita Possibile”, che si occupa dei bisogni assistenziali dei bambini affetti da malattie rare, patologie complesse, inguaribili, per accompagnarli nelle loro necessità, spesso multi specialistiche e offrire loro cure palliative. “Non aspettavamo altro che poterci appoggiare ad una rete di sostegno, perché fino a che non siamo entrati nell’hospice pediatrico, stiamo parlando di 4 anni, c’è stato il deserto, la solitudine”, continua Federica. “Grazie al loro aiuto, non ci siamo più sentiti soli e non abbiamo più avuto paura che Lavinia non avesse a disposizione le cure e il sostegno giusto. Un miglioramento di vita importante, che ci ha rasserenato e ci ha fatto sentire seguiti anche a casa, grazie a supporti sia medici che tecnologici. Ad esempio, durante la prima chiusura per la pandemia, mia figlia è entrata in un progetto sperimentale di telemedicina: grazie ad un tablet siamo riusciti ad avere un monitoraggio sul suo stato di salute, continuativo e a distanza”.
Non sono mancate anche le occasioni di conoscere altri genitori, per confrontarsi e creare dei legami. “Noi famiglie di bambini con malattie rare siamo spesso in isolamento, perché i piccoli sono fragili e rischiano di ammalarsi. Quindi la socialità è difficilissima. E avere la possibilità attraverso gli incontri di conoscere altri genitori con cui condividere le proprie ansie, poter parlare e sentirsi compresi è un merito che bisogna dare a queste associazioni”.

La storia di Lavinia si conclude a 9 anni, ma grazie proprio a questa rete di supporto i suoi genitori, Federica e il marito, vanno avanti nella convinzione di voler essere loro, da lì in poi, di aiuto ad altri genitori che vivono la loro situazione. Così, nel 2015 hanno aperto una pagina su Facebook, che nel tempo è divenuta una community “In cammino per Lavinia”, seguita da migliaia di persone, in cui danno informazioni e consigli per i genitori che hanno bambini malati rari. “Molti ci scrivono per dirci che la nostra esperienza è stata d’aiuto. Per noi vuol dire tanto, dà un senso e un grande valore a quello è successo a Lavina in primis e a noi come famiglia. Abbiamo aperto la strada a qualcun altro che verrà dopo di noi, a cui possiamo dire ce la puoi fare, non sei solo. E questa è una cosa che conta, tantissimo”.

 

Lavinia e gli altri: Giornata delle malattie rare

I genitori di Lavinia ci hanno consegnato la loro storia per parlare di un tema importante: il Rare Disease Day, Giornata della malattie rare. Perché ad alcune non si riesce neanche a dare un nome, talmente sono sconosciute e ancora poco studiate, motivo per cui più che per altre, è importante l’associazionismo e lo scambio di esperienze. Non a caso è stato scelto di dedicare alle malattie rare la giornata mondiale nel giorno più raro dell’anno, il 29 febbraio.

Di cosa parliamo quando parliamo di malattie rare.
Seguendo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, questo cospicuo ed eterogeneo gruppo di malattie definite rare per la loro bassa diffusione nella popolazione, sono circa 7000-8000. L’80% ha un’origine genetica, mentre per restante il 20% sono il risultato di diversi fattori, come allergie, infezioni, cause ambientali e alimentari. Si stima che al mondo oltre 300 milioni di persone convivono con questo tipo di patologie e secondo Orphanet Italia, il portale dedicato alle malattie rare e i farmaci orfani, a soffrirne sono circa oltre 2 milioni di italiani. Nel 70% dei casi queste patologie insorgono in età pediatrica.

Oltre al supporto medico, un ruolo chiave lo svolgono tante onlus e associazioni nate per sostenere i pazienti e le loro famiglie in questo difficile iter. L’aiuto offerto spazia dall’aspetto legale a quello burocratico, fino all’ambito psicologico e pratico, per sapersi orientare nel labirinto della cura di una malattia rara. Il fattore umano e l’empatia giocano un ruolo primario e grazie agli incontri con le altre famiglie, si trovano nuovi amici che non fanno più sentire soli e diversi. Un tessuto di relazioni speciali, che danno conforto e speranza, come abbiamo scoperto intervistando tante altre mamme.

EMILIA, mamma 46enne di Roma impiegata nella vendita telefonica di una grande azienda, è tra loro: “Ho tante amiche, ma quando parlo con le mamme dell’associazione mi sento compresa fino in fondo. Ho trovato l’AIMAR, l’associazione Italiana Malformazioni Anorettali, facendo riceva su internet. Mia figlia Flavia, che oggi ha 11 anni è mezzo, è nata con questa malattia rara, che gli ha creato anche altri problemi come il midollo ancorato. Incontrare l’associazione è stato di grande conforto, perché quando vieni catapultata in una situazione del genere, in una cosa che non conosci assolutamente, hai dieci milioni di paure e di domande e sul web leggi di tutto e di più. Per cui entrate a contatto con l’AIMAR è stato fondamentale: mi sono tranquillizzata, perché ho incontrato persone che spiegano e chiariscono i tuoi dubbi e ti aiutano anche praticamente, per esempio su come utilizzare al meglio i presidi medici. In questo ci ha dato una grande mano Angela, l’infermiera dell’associazione, sempre disponibile con un gran cuore e una grande pazienza. Insomma, il supporto è tanto e diversificato: non solo emotivo e psicologico, ma anche pratico, basato sulla conoscenza e l’esperienza”, spiega Emilia. L’aspetto dei legami e dei rapporti di amicizia che si possono intessere e coltivare nel tempo, è un altro grande beneficio che mette all’angolo il senso di solitudine che può creare questa condizione. “Grazie agli incontri promossi dall’associazione, abbiamo conosciuto tante famiglie con le nostre stesse problematiche. Alcune sono diventate delle belle amicizie con cui condividiamo tantissimo. Ho tante amiche fidate, che mi ascoltano e mi hanno consolato nei momenti più difficili, ma possono capirmi fino ad un certo punto. Invece chi conosce la patologia e la vive quotidianamente, come le altre mamme dell’associazione, riesce a comprenderti a 360° e puoi parlare di tutto liberamente”, prosegue Emilia. “Anche mia figlia ha legato molto con Aurora, una bambina che vive a Napoli. Hanno la stessa età e sono importantissime l’una per l’altra. Quando stanno assieme parlano liberamente delle loro difficoltà e so che Flavia si sente libera di essere sé stessa totalmente, cosa che non riesce a fare quando sta con la sua amichetta del cuore a Roma. È importante avere una persona che ti fa da specchio, soprattutto quando affronti malattie rare come questa”.

 

“Riccardo è nato nel 2013 e quando mi hanno detto che aveva una MAR, cioè una malformazione anorettale, mi è crollato il mondo addosso” racconta invece TERESA, 56enne insegnante di sostegno alla scuola dell’infanzia che vive a Guidonia Montecelio, in provincia di Roma. In ospedale ho visto la locandina dell’AIMAR e d’istinto ho preso il numero. Ho chiamato solo quando mio figlio è tornato a casa dopo l’intervento, avevo bisogno di un appoggio e anche di consigli, perché dovevo imparare a usare un sondino” afferma Teresa. “Oltre a ricevere indicazioni pratiche su come assistere mio figlio nella sua terapia, ho ricevuto anche un supporto psicologico che ha fatto bene alla mia autostima: potevo farcela. Non mi sono più sentita la sola, perché ho incontrato tante famiglie che avevano i miei stessi problemi. E questo mi ha aiutato a rafforzarmi, perché più io diventavo solida, più Riccardo sarebbe cresciuto tranquillo e sicuro”, prosegue Teresa.
“Anche lui ha fatto dei grandi passi avanti grazie ai legami nati tramite l’associazione. Ho una casa grande e più di una volta ho invitato gli amici conosciuti all’AIMAR con i loro figli. I bambini si raccontavano e si confrontavano e grazie a questo Riccardo ha capito che non era il solo a vivere questa malattia. E anche quando ha fatto resistenza davanti all’utilizzo di una nuova macchinetta che lo aiutava a defecare, un bambino poco più grande di lui lo ha incoraggiato a provare, dandogli il buon esempio. Nonostante sia una docente di sostegno e più volte ho incontrato a scuola bimbi con malattie rare, quando ti ritrovi nel ruolo di genitore che affronta queste patologie è normale che provare ansia e paura. Ho avuto un tracollo all’inizio, poi è subentrata l’accettazione e la consapevolezza che mio figlio è come tutti gli altri. Questa problematica lo ha reso più forte, perché Riccardo ha imparato a confrontarsi con altri bambini che hanno criticità diverse dalle sue, apprendendo così ad accogliere l’altro senza giudizi e con tanta empatia”.

“Quando nasce un figlio sano e poi si ammala non è che hai molte alternative se non affrontare il problema” ci racconta PAOLA, 50enne della provincia di Padova, educatrice esperta nella gestione dei servizi per l’infanzia, ora in pensione. Alessandro, che adesso ha 23 anni, aveva poche ore quando ha avuto un’infezione da meningite che gli ha causato due malattie rare, Arnold-Chiari tipo uno e la siringomielia, un mix tremendo che dà gravi e seri disturbi. Siamo approdati all’hospice di Padova nel 2008, perché aveva avuto una insufficienza respiratoria. Ero terrorizzata, perché si tende a pensare che l’hospice sia un posto dove vai a morire, ma non è assolutamente vero. È un luogo dove invece si impara a gestire la malattia e le cure palliative. Grazie all’incontro fondamentale con le onlus come “La Miglior Vita Possibile”, ho ricevuto sostegno, conforto e anche l’incoraggiamento a sentirmi abile ad affrontare i momenti più critici della malattia. Da lì è iniziata una nuova vita, migliore, per tutta la nostra famiglia, inclusi la sorella e il fratello di Alessandro”, dice Paola. “Anche se non si è degli infermieri, bisogna imparare a fare delle cose nuove, che possono anche intimorire. Ma grazie all’aiuto e alla guida di tanti esperti e volontari, man mano apprendi e impari a gestirle, senza ansia e senza paura. Sentire che puoi contare su queste associazioni, che ti appoggiano su tanti fronti – dagli aspetti burocratici a quelli psicologici, ma chi ne ha bisogno riceve anche un sostegno economico – è un grande antidoto contro la disperazione, perché se non sei supportato nel modo giusto, è l’unica cosa che ti rimane. Per questo è necessario costruire un percorso di serenità, che si basi anche sul fare rete”, continua a raccontare Paola. “Grazie agli incontri con gli altri genitori, ho costruito dei meravigliosi rapporti di amicizia con persone che hanno della vita un concetto bello e sano, anche se stanno vivendo tanti momenti bui per la malattia. Senti l’affinità con chi ti sa ascoltare e capire. C’è anche un mondo un po’ sommerso, di tanti genitori che si perdono nel loro dolore. E credo che le associazioni in questo svolgano un ruolo cruciale, perché possono fare da ponte per creare legami forti e profondi, nei quali ci si sostiene a vicenda, condividendo le reciproche esperienze per incoraggiarsi”.

“Anche per le i legami stretti durante questo percorso sono stati, e restano, speciali” continua SILVIA, 55 anni. “Mio figlio oggi ha 27 anni e quando gli è stata diagnosticata la fibrosi cistica ero molto giovane e spaventata: non avevo la minima idea di cosa fosse questa malattia. Era appena nata una piccola associazione, creata da genitori come me che si trovavano soli ad affrontare questa rara patologia. E io ho subito aderito, per lavorare assieme e creare una rete di supporto per aiutarci l’un l’altro. Nel tempo ho fatto dell’associazione il mio lavoro. “Officium” è cresciuta e ora è un comitato della Lega italiana fibrosi cistica. Operiamo su Roma e seguiamo i piccoli pazienti dell’ospedale Bambino Gesù”, spiega Silvia. “Non dimenticherò mai la prima volta che mi sono potuta confrontare con una mamma che aveva più esperienza di me, che mi ha aiutato nel fare una terapia da effettuare a casa. Di fatto era solo una mia paura pratica manuale, perché il centro di cura mi aveva dato tutte le indicazioni, ma essendo alle prime armi ero molto spaventata e preoccupata e sapere che potevo contare su qualcuno mi dava enorme conforto. Grazie all’associazione ho stretto delle relazioni con tante persone straordinarie, anche molto diverse da me, con cui non avrei mai immaginato di poter legare. Invece queste diversità sono state un grande valore aggiunto, che hanno accresciuto tutti e ci hanno permesso di diventare una grande famiglia. Molti sono amici da anni e ci vediamo anche fuori dal contesto della malattia, per condividere momenti di divertimento”. Per Silvia il sostegno delle onlus è fondamentale per chi deve affrontare una malattia rara. “Si può contare su una rete di supporto, anche pratico, che offre risposte e scioglie dubbi. Centrale sono il sostegno morale e la vicinanza, ma c’è anche un grande lavoro di advocacy per tutelare i diritti dei pazienti e garantire loro cure, assistenza e anche diagnosi precoci. Intervenire il prima possibile fa una grande differenza nella prognosi della malattia, soprattutto quando non c’è una cura come in tante patologie rare, perché permette di avere una qualità di vita migliore”.

 

CLAUDIA è una giovane mamma di 28 anni di Ostia. “Mia figlia Cecilia Micol, che oggi ha tre anni, è stata operata d’urgenza il suo secondo giorno di vita e poco dopo è arrivata la diagnosi: fibrosi cistica. Il mio compagno ed io non potevamo immaginare di essere due portatori sani, non sapevamo nulla di questa patologia, ora con la bambina stiamo conoscendo la malattia. Quando l’ho saputo ero da sola in ospedale e a supportarmi sono arrivati subito i volontari dell’associazione “Officium”. Mi hanno accolto, traducendomi con parole semplici cos’era questa malattia rara, spiegandoci che le terapie erano migliorate e anche l’aspettativa di vita si era allungata, dandomi speranza e conforto”, dice Claudia.
“I primi tempi la gestione della terapia era complicata, così ci siamo affidati al loro progetto di supporto domiciliare: uno o due volte a settimana venivano a casa un terapista per aiutare mia figlia e uno psicologo con cui noi genitori ci confrontavamo. Grazie ai loro consigli e incoraggiamenti, abbiamo acquisito conoscenza e ci siamo impratichiti. C’è una grande partecipazione attiva, una trasmissione di esperienze e di sostegno, anche da parte delle famiglie che affrontano da più tempo di me la fibrosi cistica. Così ho voluto mettermi in gioco anche io e ho iniziato a scrivere delle filastrocche “salate”. L’idea è nata per aiutare mia figlia e gli altri bimbi del reparto, con un linguaggio semplice e immediato, a capire meglio la terapia e il rapporto con l’ospedale e i medici. Ora sta diventando un libro e il ricavato delle vendite andrà a supportare l’associazione”.